Maria nell’opera di Dante
Durante il mese di maggio, pubblicheremo ogni settimana un approfondimento sulla figura di Maria. Ecco un testo tratto da “Candor lucis aeternae”
7. Le tre donne della Commedia: Maria, Beatrice, Lucia
Cantando il mistero dell’Incarnazione, fonte di salvezza e di gioia per l’intera umanità, Dante non può non cantare le lodi di Maria, la Vergine Madre che, con il suo “sì”, con la sua piena e totale accoglienza del progetto di Dio, rende possibile che il Verbo si faccia carne. Nell’opera di Dante troviamo un bel trattato di mariologia: con accenti lirici altissimi, particolarmente nella preghiera pronunciata da San Bernardo, egli sintetizza tutta la riflessione teologica su Maria e sulla sua partecipazione al mistero di Dio: «Vergine Madre, figlia del tuo figlio, / umile e alta più che creatura, / termine fisso d’etterno consiglio, / tu se’ colei che l’umana natura / nobilitasti sì, che ’l suo fattore / non disdegnò di farsi sua fattura» (Par. XXXIII, 1-6). L’ossimoro iniziale e il susseguirsi di termini antitetici evidenziano l’originalità della figura di Maria, la sua singolare bellezza.
Sempre San Bernardo, mostrando i beati collocati nella mistica rosa, invita Dante a contemplare Maria, che ha dato le sembianze umane al Verbo Incarnato: «Riguarda omai ne la faccia che a Cristo / più si somiglia, ché la sua chiarezza / sola ti può disporre a veder Cristo» (Par. XXXII, 85-87). Il mistero dell’Incarnazione è ancora una volta evocato dalla presenza dell’Arcangelo Gabriele. Dante interroga San Bernardo: «Qual è quell’angel che con tanto gioco / guarda ne li occhi la nostra regina, / innamorato sì che par di foco?» (103-105); e quegli risponde: «elli è quelli che portò la palma / giuso a Maria, quando ’l Figliuol di Dio / carcar si volse de la nostra salma» (112-114). Il riferimento a Maria è costante in tutta la Divina Commedia. Lungo il percorso nel Purgatorio, è il modello delle virtù che si contrappongono ai vizi; è la stella del mattino che aiuta a uscire dalla selva oscura per incamminarsi verso il monte di Dio; è la presenza costante, attraverso la sua invocazione – «il nome del bel fior ch’io sempre invoco / e mane e sera» (Par. XXIII, 88-89) – che prepara all’incontro con Cristo e col mistero di Dio.
Dante, che non è mai solo nel suo cammino, ma si lascia guidare dapprima da Virgilio, simbolo della ragione umana, e quindi da Beatrice e da San Bernardo, ora, grazie all’intercessione di Maria, può giungere alla patria e gustare la gioia piena desiderata in ogni momento dell’esistenza: «E ancor mi distilla / nel core il dolce che nacque da essa» (Par. XXXIII, 62-63). Non ci si salva da soli, sembra ripeterci il Poeta, consapevole della propria insufficienza: «Da me stesso non vegno» (Inf. X, 61); è necessario che il cammino si faccia in compagnia di chi può sostenerci e guidarci con saggezza e prudenza.
Appare significativa in questo contesto la presenza femminile. All’inizio del faticoso itinerario, Virgilio, la prima guida, conforta e incoraggia Dante a proseguire perché tre donne intercedono per lui e lo guideranno: Maria, la Madre di Dio, figura della carità; Beatrice, simbolo di speranza; Santa Lucia, immagine della fede. Così, con parole commoventi, si presenta Beatrice: «I’ son Beatrice che ti faccio andare; / vegno del loco ove tornar disio; / amor mi mosse, che mi fa parlare» (Inf. II, 70-72), affermando che l’unica sorgente che può donarci la salvezza è l’amore, l’amore divino che trasfigura l’amore umano. Beatrice rimanda, poi, all’intercessione di un’altra donna, la Vergine Maria: «Donna è gentil nel ciel che si compiange / di questo ’mpedimento ov’io ti mando, / sì che duro giudicio là sù frange» (94-96). Quindi interviene Lucia, che si rivolge a Beatrice: «Beatrice, loda di Dio vera, / ché non soccorri quei che t’amò tanto, / ch’uscì per te de la volgare schiera?» (103-105). Dante riconosce che solo chi è mosso dall’amore può davvero sostenerci nel cammino e portarci alla salvezza, al rinnovamento di vita e quindi alla felicità.
Da Papa Francesco, Candore Lucis Aeternae